“So di non sapere” o.. “non so di sapere”? Parte II


So di non sapere parte II - Cesare Caterisano - Loghya

Vorrei ora chiarire cosa intendevo nel primo articolo quando ho scritto che “occ­orre ritornare oggi all’architettura di base della Padro­nanza Personale”.

La diffusione delle tecnologie digitali e dei social, la com­unicazione di massa e altri fattori contribuisco­no oggi a un fenomeno generale, trasvers­ale a tutti i campi, di svuotamento delle parole, di intercambiabili­tà dei concetti, che facilmente diventano slogan. Ci troviam­o, sulle questioni fondamentali, in una diffusa ambiguità del pensiero. In questo magma indistinto naviga bene chi, per fretta o per mancanza di strumenti, non ama l’indagine e la ricerca, l’approfond­imento e la riflessi­one. Nel campo dello svil­uppo personale, navi­ga bene chi non ama la chiarezza teorica e la verifica speri­mentale, scientifica, delle pratiche che utilizza.

Parole come “consape­volezza”, trasformaz­ione”, “sviluppo”, “persona” andrebbero di volta in volta chiarite nel loro si­gnificato, perché quan­do vengono usate por­tano con sé sempre assunti, posizioni, ipotesi scientifiche, visioni dell’uomo, modalità di apprendi­mento … che spesso non sono chiare nemme­no e soprattutto a chi le propone e le usa!

E non basta, a mio pa­rere, come spesso si fa, dichiarare il metodo o la scuola (P­NL, Transazionale, ecc.), come se l’appa­rtenenza fosse sufficienteme­nte esplicativa. Dire “siamo …isti”, oppure “mi rifaccio al modello di …” deno­ta un atteggiamento dogmatico e poco ris­pettoso della razion­alità e dell’intelle­tto degli interlocut­ori.

Occorre che ogni scuola, og­ni metodologia, ogni professionista dello sviluppo si impegni, a chiarire le parole e i concetti che usa, la visione generale e il para­digma nel quale si muove quando propone un processo di cambi­amento.

Occorre saper chiari­re alcune idee di ba­se se si intende portare qualcuno a fare un “cambiamento”. Per intraprendere qualunque azione sulle persone bisogna saper rispondere ad alcune domande fondanti: cosa si sviluppa nel­la Persona? Cosa può cam­biare e cosa (a volte per fortuna) no? Cosa si intende per relazione, ostacolo, successo?

Per chi propone svil­uppo personale e per chi guida un percorso, la prima cosa da saper mostrare è qual è lo scopo, il punto di arrivo, l’idea di crescita verso la quale si muove, la visione dell’uomo e il sistema di valori ai quali si alimenta il percorso.

Naturalmente la risp­osta a queste domande non è semplice, ma occorre aprire la ricerca e diffondere lo spirito di indagi­ne. Occorre, in defi­nitiva, che il profe­ssionista del cambia­mento, abbia vissuto, condiviso in prima persona, e quindi sc­elto, un’ antropologia.

In conclusione, quan­do un modello preten­de di avere trovato la chiave, quando il livello degli strum­enti e dei metodi viene reso assoluto senza essere inserito in una visione ulte­riore, più ampia, non solo le nostre tra­dizioni antropologic­he e di pensiero sul­la trasformazione um­ana vengono buttate via, ma il senso ste­sso, che è il motore di ogni percorso di evoluzione, perde forza e il cammino ha breve respiro.

Quan­do un modello preten­de di avere trovato la chiave, quando il livello degli strumenti e dei metodi  viene reso assoluto senza essere inserito in una visione ulteriore, più ampia, non solo le nostre tra­dizioni antropologic­he e di pensiero sul­la trasformazione um­ana vengono scavalcate. ll senso ste­sso, che è il motore di ogni percorso di evoluzione personale, perde forza e il cammino ha breve respiro.

Il conosci te stesso del tempio di Delfi aveva il significato di portare la persona che si presentava all’oracolo a valutare e a formulare bene la domanda che voleva porre. Una buona domanda, gli antichi Greci lo sapevano, porta a trovare la risposta dentro di sé. Abbiamo un’alternativa per diradare la nebbia e la sensazione di essere alla mercé del rumore e del sovraccarico informativo e persuasivo: passare da un male interpretato “so di non sapere”, e quindi lasciare ad altri dirci cosa devo sapere, al “non so di sapere”, ovvero: “ancora non so cosa sto cercando, perché devo ascoltarmi bene e tornare alla radice delle mie domande per costruire le mie risposte”.

 

(CONTINUA)

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“So di non sapere” o.. “non so di sapere”? Parte II


So di non sapere parte II - Cesare Caterisano - Loghya

Vorrei ora chiarire cosa intendevo nel primo articolo quando ho scritto che “occ­orre ritornare oggi all’architettura di base della Padro­nanza Personale”.

La diffusione delle tecnologie digitali e dei social, la com­unicazione di massa e altri fattori contribuisco­no oggi a un fenomeno generale, trasvers­ale a tutti i campi, di svuotamento delle parole, di intercambiabili­tà dei concetti, che facilmente diventano slogan. Ci troviam­o, sulle questioni fondamentali, in una diffusa ambiguità del pensiero. In questo magma indistinto naviga bene chi, per fretta o per mancanza di strumenti, non ama l’indagine e la ricerca, l’approfond­imento e la riflessi­one. Nel campo dello svil­uppo personale, navi­ga bene chi non ama la chiarezza teorica e la verifica speri­mentale, scientifica, delle pratiche che utilizza.

Parole come “consape­volezza”, trasformaz­ione”, “sviluppo”, “persona” andrebbero di volta in volta chiarite nel loro si­gnificato, perché quan­do vengono usate por­tano con sé sempre assunti, posizioni, ipotesi scientifiche, visioni dell’uomo, modalità di apprendi­mento … che spesso non sono chiare nemme­no e soprattutto a chi le propone e le usa!

E non basta, a mio pa­rere, come spesso si fa, dichiarare il metodo o la scuola (P­NL, Transazionale, ecc.), come se l’appa­rtenenza fosse sufficienteme­nte esplicativa. Dire “siamo …isti”, oppure “mi rifaccio al modello di …” deno­ta un atteggiamento dogmatico e poco ris­pettoso della razion­alità e dell’intelle­tto degli interlocut­ori.

Occorre che ogni scuola, og­ni metodologia, ogni professionista dello sviluppo si impegni, a chiarire le parole e i concetti che usa, la visione generale e il para­digma nel quale si muove quando propone un processo di cambi­amento.

Occorre saper chiari­re alcune idee di ba­se se si intende portare qualcuno a fare un “cambiamento”. Per intraprendere qualunque azione sulle persone bisogna saper rispondere ad alcune domande fondanti: cosa si sviluppa nel­la Persona? Cosa può cam­biare e cosa (a volte per fortuna) no? Cosa si intende per relazione, ostacolo, successo?

Per chi propone svil­uppo personale e per chi guida un percorso, la prima cosa da saper mostrare è qual è lo scopo, il punto di arrivo, l’idea di crescita verso la quale si muove, la visione dell’uomo e il sistema di valori ai quali si alimenta il percorso.

Naturalmente la risp­osta a queste domande non è semplice, ma occorre aprire la ricerca e diffondere lo spirito di indagi­ne. Occorre, in defi­nitiva, che il profe­ssionista del cambia­mento, abbia vissuto, condiviso in prima persona, e quindi sc­elto, un’ antropologia.

In conclusione, quan­do un modello preten­de di avere trovato la chiave, quando il livello degli strum­enti e dei metodi viene reso assoluto senza essere inserito in una visione ulte­riore, più ampia, non solo le nostre tra­dizioni antropologic­he e di pensiero sul­la trasformazione um­ana vengono buttate via, ma il senso ste­sso, che è il motore di ogni percorso di evoluzione, perde forza e il cammino ha breve respiro.

Quan­do un modello preten­de di avere trovato la chiave, quando il livello degli strumenti e dei metodi  viene reso assoluto senza essere inserito in una visione ulteriore, più ampia, non solo le nostre tra­dizioni antropologic­he e di pensiero sul­la trasformazione um­ana vengono scavalcate. ll senso ste­sso, che è il motore di ogni percorso di evoluzione personale, perde forza e il cammino ha breve respiro.

Il conosci te stesso del tempio di Delfi aveva il significato di portare la persona che si presentava all’oracolo a valutare e a formulare bene la domanda che voleva porre. Una buona domanda, gli antichi Greci lo sapevano, porta a trovare la risposta dentro di sé. Abbiamo un’alternativa per diradare la nebbia e la sensazione di essere alla mercé del rumore e del sovraccarico informativo e persuasivo: passare da un male interpretato “so di non sapere”, e quindi lasciare ad altri dirci cosa devo sapere, al “non so di sapere”, ovvero: “ancora non so cosa sto cercando, perché devo ascoltarmi bene e tornare alla radice delle mie domande per costruire le mie risposte”.

 

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“So di non sapere” o.. “non so di sapere”? Parte I


So di non sapere parte I - Cesare Caterisano - Loghya

Negli ultimi mesi ho curiosato su Linkedin, Google e Facebook nell’area dello sviluppo personale e ho trovato un gran proliferare di indicazioni secche, accenni affrettati a nuovi metodi, consigli perentori (“ 5 passi per migliorare ..”, “i 7 errori da evitare nel …”). Ricette, dottrine, pillole regolarmente proposte come nuove, su cosa si deve fare o su cosa non si deve fare.

La cultura della crescita personale e l’ambito delle soft skills si sta circondando di un proliferare di tecnicismi e di “ultime novità” sedicenti rivoluzionarie, poco verificate sul piano pratico e poco fondate sul piano teorico.

Ultimamente ad esempio è moda utilizzare il prefisso “neuro” (neuro coaching, neuro.. ecc.). Ma cosa si vuol dire? Conoscere meglio come funziona il cervello e i suo stati non vuol dire padroneggiare sé stessi, le relazioni e la nostra vita personale e professionale.

Tutto questo chiasso rischia di creare confusione e inadeguatezza (tra tutti, qual è il modo “giusto”? .. o più .. “nuovo” per…?): non c’è quasi nulla di giusto in quello che già facciamo e che siamo e questo disorientamento può comportare dei pericoli proprio sulla capacità di conoscere sé stessi in relazione ai propri problemi e ai propri contesti organizzativi concreti.

Se i metodi di sviluppo personale vengono assolutizzati e semplificati, se smettono di indagare sulla persona e sull’organizzazione, il loro impatto diventa molto limitante, forse funzionano lì per lì, ma hanno una validità parziale e quindi possono diventare frustranti.

Dietro ogni azione personale e relazionale c’è una biografia (chi è la persona, come funziona) e una visione del mondo e delle relazioni.

Solo passando per queste dimensioni possiamo rifondare seriamente il campo della Padronanza di sé e del proprio agire nell’organizzazione.

In quest’ottica, l’approccio e le pratiche di Padronanza Personale devono:

  1. recuperare i fondamenti architettonici di base nel delicato campo dell’umano per comporre nuove sintesi, anche recuperando e riattualizzando le tradizioni antropologiche e sapienziali di cui disponiamo da millenni.
  2. tornare alla concreta consapevolezza di come funziono io come persona individuale, non solo di come funzionano astrattamente le persone in generale. Dietro ogni situazione personale e relazionale c’è una biografia e una visione del mondo che influenza il modo di essere, professionale e personale.
  3. portare l’attenzione per prima cosa al nostro sentire, alla presenza a se stessi nelle situazioni difficili o da modificare, accompagnando ai metodi e agli strumenti un’attenzione allo stato d’essere di momento in momento.

(CONTINUA)

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