Vorrei ora chiarire cosa intendevo nel primo articolo quando ho scritto che “occorre ritornare oggi all’architettura di base della Padronanza Personale”.
La diffusione delle tecnologie digitali e dei social, la comunicazione di massa e altri fattori contribuiscono oggi a un fenomeno generale, trasversale a tutti i campi, di svuotamento delle parole, di intercambiabilità dei concetti, che facilmente diventano slogan. Ci troviamo, sulle questioni fondamentali, in una diffusa ambiguità del pensiero. In questo magma indistinto naviga bene chi, per fretta o per mancanza di strumenti, non ama l’indagine e la ricerca, l’approfondimento e la riflessione. Nel campo dello sviluppo personale, naviga bene chi non ama la chiarezza teorica e la verifica sperimentale, scientifica, delle pratiche che utilizza.
Parole come “consapevolezza”, trasformazione”, “sviluppo”, “persona” andrebbero di volta in volta chiarite nel loro significato, perché quando vengono usate portano con sé sempre assunti, posizioni, ipotesi scientifiche, visioni dell’uomo, modalità di apprendimento … che spesso non sono chiare nemmeno e soprattutto a chi le propone e le usa!
E non basta, a mio parere, come spesso si fa, dichiarare il metodo o la scuola (PNL, Transazionale, ecc.), come se l’appartenenza fosse sufficientemente esplicativa. Dire “siamo …isti”, oppure “mi rifaccio al modello di …” denota un atteggiamento dogmatico e poco rispettoso della razionalità e dell’intelletto degli interlocutori.
Occorre che ogni scuola, ogni metodologia, ogni professionista dello sviluppo si impegni, a chiarire le parole e i concetti che usa, la visione generale e il paradigma nel quale si muove quando propone un processo di cambiamento.
Occorre saper chiarire alcune idee di base se si intende portare qualcuno a fare un “cambiamento”. Per intraprendere qualunque azione sulle persone bisogna saper rispondere ad alcune domande fondanti: cosa si sviluppa nella Persona? Cosa può cambiare e cosa (a volte per fortuna) no? Cosa si intende per relazione, ostacolo, successo?
Per chi propone sviluppo personale e per chi guida un percorso, la prima cosa da saper mostrare è qual è lo scopo, il punto di arrivo, l’idea di crescita verso la quale si muove, la visione dell’uomo e il sistema di valori ai quali si alimenta il percorso.
Naturalmente la risposta a queste domande non è semplice, ma occorre aprire la ricerca e diffondere lo spirito di indagine. Occorre, in definitiva, che il professionista del cambiamento, abbia vissuto, condiviso in prima persona, e quindi scelto, un’ antropologia.
In conclusione, quando un modello pretende di avere trovato la chiave, quando il livello degli strumenti e dei metodi viene reso assoluto senza essere inserito in una visione ulteriore, più ampia, non solo le nostre tradizioni antropologiche e di pensiero sulla trasformazione umana vengono buttate via, ma il senso stesso, che è il motore di ogni percorso di evoluzione, perde forza e il cammino ha breve respiro.
Quando un modello pretende di avere trovato la chiave, quando il livello degli strumenti e dei metodi viene reso assoluto senza essere inserito in una visione ulteriore, più ampia, non solo le nostre tradizioni antropologiche e di pensiero sulla trasformazione umana vengono scavalcate. ll senso stesso, che è il motore di ogni percorso di evoluzione personale, perde forza e il cammino ha breve respiro.
Il conosci te stesso del tempio di Delfi aveva il significato di portare la persona che si presentava all’oracolo a valutare e a formulare bene la domanda che voleva porre. Una buona domanda, gli antichi Greci lo sapevano, porta a trovare la risposta dentro di sé. Abbiamo un’alternativa per diradare la nebbia e la sensazione di essere alla mercé del rumore e del sovraccarico informativo e persuasivo: passare da un male interpretato “so di non sapere”, e quindi lasciare ad altri dirci cosa devo sapere, al “non so di sapere”, ovvero: “ancora non so cosa sto cercando, perché devo ascoltarmi bene e tornare alla radice delle mie domande per costruire le mie risposte”.
(CONTINUA)
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